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Joal Fadiouth

Lasciamo Dakar la mattina di buon ora nel tentativo di cercare di evitare il traffico intenso e caotico che non solo la circonda, ma che ne prende letteralmente il possesso. Ci dirigiamo verso l’arteria autostradale che collega la capitale del Senegal a Mbour, circa 70 km più a Sud, un tratto di strada a pagamento in puro stile – e costo – Europeo. L’autostrada, che nei primi km taglia in due la parte Nord della città sembra essere una sorta di via di fuga, visto il costo infatti non c’è traffico e quindi ciò che la circonda pare improvvisiamente qualcosa di lontano e inimmaginabile. Il nostro Valentino paga circa 3 Euro per il primo tratto di autostrada lungo non più di cinque o sei chilometri, poi un altro casello – in stile Francese – dove ne paghiamo circa 4. Non possiamo permetterci di spendere un patrimonio per fuggire dalla città ma, poco prima di uscire e gettarci nella mischia, vediamo un rassicurante cartello che indica la fine del tratto a pagamento. Siamo fortunati!

L’autostrada finisce a circa 20 chilometri da Mbour, dove il nastro d’asfalto si trasforma in una lingua di bitume accartocciato che viene stretto tra acace, baboab e piccoli villaggi sempre preannunciati di qualche centinaio di metri di spazzatura. Il mare non è lontano, eppure ai primi di Giugno la sua influenza non è abbastanza potente per rendere il clima più mite. Il termometro non sale molto oltre i trenta gradi ma l’umidità ci porta via parecchie energie che cerchiamo di recuperare bevendo parecchia acqua.

Arrivati a Mbour inizia la classica coda a cui Dakar ci ha abituato: auto, camion, carretti, asini e motorini si fondono in un unica colonna fumante e rumorosa che viene interrotta solo da venditori ambulanti che tra le loro mercanzie hanno di tutto, dalle statuette di legno intagliato alle classiche cineserie che vanno di moda un po’ ovunque.
Sulla nostra sinistra si erge una grande moschea, poi un mercato e per finire una stazione di pullman che anche qui vengono caricati di umini, cose ed animali in modo tale che neanche le leggi della fisica riescono a spiegare.

Nel caos ci salta all’occhio un negozio dove vengono riprodotte chiavi, proprio ieri stavamo pensando di fare una copia di quella di Valentino visto che da sempre ne abbiamo solo una. Questa ci sembra la giusta occasione, così parcheggiamo il camion lungo la strada e chiediamo ad un ragazzo incastrato tra le mura di una piccola bottega se il lavoro sia possibile. Il giovane si china un attimo e ci porge due chiavi vergini, la prima costa due euro, la seconda tre, quale volete? Naturalmente quella da due gli diciamo, anche se a prima vista sia l’una che l’altra ci pareva avessero ben poco a che fare con l’originale. Il simpatico ragazzo prende la nostra chiave e si incastra nuovamente tra le mura del suo negozio, dove armato di morsa e lima inizia il lavoro di copia del nostro originale. Esce da quell’angusto luogo dopo dieci minuti, sudato e sporco come fosse stato rinchiuso per ore in una scatola di sardine abbandonata nel Sahara, quasi ci dispiace avergli fatto fare tutta quella fatica, eppure ridendo ci consegna il lavoro. A prima vista le due chiavi non sembrano minimamente uguali, o meglio, ci sembrano diversamente simili, ma lui, sicuro del suo mestiere, ci dice: “A posto!”. Non sembra minimamente dubbioso del fatto che due oggetti dalla forma evidentemente differente possano effettivamente assolvere allo stesso compito che, almeno per quanto noi si possa immaginare, richiede perdipiù anche un minimo di precisione. Il camion è a due passi e per scoprire che la chiave neanche entra nel buco ci vuole davvero poco. Tornati nel negozio il ragazzo pare stupito, ma riprende la lima e volgendo altro sudore al suolo e donando altre energie al suo unico attrezzo di lavoro, ci riconsegna nuovamente la chiave a cui ha appena dato una nuova forma. Niente, neanche dopo il secondo passaggio la chiave ne vuole sapere di funzionare, quindi il ragazzo si disincastra dalle mura del negozio e trasferisce tutti i suoi attrezzi – la lima – sotto al nostro camion. Prende in mano l’utensile unto di sudore e a suon di colpi assestati in modo impeccabile riesce a far funzionare la chiave. Ottimo lavoro gli diciamo, lui ci risponde con un rignraziamento molto comune qui: “Grazie a voi e buona fortuna a tutta la famiglia”.

Con un buon duplicato di chiavi in tasca raggiungiamo il villaggio di Joal dopo circa un’ora, dove abbiamo la fortuna di incontrare il centro Assunta, ovvero una missione gestita da tre suore Francescane che portano avanti un progetto di scolarizzazione e introduzione al lavoro per giovani ragazze (Ne vogliamo parlare in un post dedicato n.d.r.). Bussiamo alla loro porta in cerca di un luogo dove parcheggiare e veniamo accolti in modo caloroso nella loro casa. La suora che ci viene incontro ci mostra subito come poter utilizzare il bagno, l’acqua ed eventualmente la cucina. Il loro giardino è curato da Philipp, un simpatico uomo che qui dentro si occupa evidentemente di un po’ di tutto.

Nel giardino incontriamo due signori Spagnoli che soggiornano qui, loro sono in viaggio con un Daily 4×4 camperizzato e, poco dopo, scopriremo la loro incredibile storia. In viaggio da parecchi mesi si trovano al centro Assunta da circa 4. Il loro viaggio si è per ora fermato qui per una serie di vicissitudini mediche che hanno portato il signore a tornare in Spagna per qualche tempo per alcuni accertamenti. Fortunatamente nulla di grave, una piccola colica renale risolta in breve tempo, così sua moglie, rimasta qui in Senegal ha aspettato il suo rientro in compagnia delle suore. Partito per la Spagna con l’aereo l’uomo ha pensato, perchè non tornare con una macchina carica di regali per la missione e poi vendere la vettura una volta arrivati? Così ha fatto!

Joal Fadiouth è un luogo molto singolare, Joal è un villaggio sulla terra ferma che si trova al periplo di una stretta penisola dove di fatto finisce anche la strada, mentre Fadiouth è un villaggio costruito su un isola artificiale formata interamente da conchiglie e dove queste non formano solo il terreno su cui poggiano le fondamenta delle case, ma anche le loro mura, i recinti e gli articoli artigianli venduti tra le sue vie. Joal e Fadiouth sono collegati tra di loro mediante un lungo ponte di legno su cui non possono passare autovetture e per questo motivo sull’isola non ci sono mezzi a motore. Altra singolarità di questo luogo è l’alta presenza di Cristiani, addirittura nel villaggio di Fadiouth questi superano di 90 a 10 la presenza dei Mussulmani. Dopo due mesi trascorsi tra Marocco e Mauritania ci appare così davvero singolare arrivare a Fadiouth dopo la camminata sul ponte di legno ed essere accolti da maiali che pascolano serenamente per le vie del villaggio.

Per questo motivo diventa molto interessante e piacevole da visitare il cimitero di Fadiuouth, che si trova sulla terra ferma e che è anche questo raggiungibile attraverso un ponte di legno. Il cimitero raccoglie e celebra i defunti di entrambe le religioni, eliminando così ogni barriera ideologica di fronte a ciò che accomuna tutti gli uomini, la morte. Lo stretto contatto tra le due culture qui si fonde in modo armonioso, i defunti sotterrati e protetti da piccoli comuli di conchiglie riposano in pace sulla riva del mare.

A bordo di una piroga costruita da un unico tronco di cedro navighiamo tra le mangrovie che circondano Fadiouth, raggiungendo poi l’antico granaio costruito interamente su palafitte. Impossibile non ricordare a questo punto gli antichi granai incontrati sopratutto in Marocco, fortificazioni imponenti costruite interamente in terra e pietre. Differenti tipi di edifici aventi in comune lo stesso fine di proteggere il cibo che dona la vita.

 

 

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